Ciao, oggi sembra partire strana ma vedrai che mi rimetto in carreggiata. Se non concordi con alcune delle mie opinioni, il momento di insultarmi è ora o mai più. Ma leggi fino in fondo che poi si parla di pizza buonissima. Swooosh 🐚
«Poco tempo fa, un lettore mi ha chiesto: ma è vero che avere orgasmi migliora la salute? Non sono al corrente di alcun tipo di dato scientifico in merito, ma, in fondo, migliorare la propria salute non è “il punto” dell’avere un orgasmo. Il punto degli orgasmi è che sono divertenti. E non dobbiamo appurarne gli effetti benefici per volerli avere».
È arrivato, finalmente, il pezzo che tutti stavamo aspettando . L’ha pubblicato, non sorprendentemente, The Atlantic. La firma è quella di Emily Oster, autrice ed economista che scrive in un esercizio tutt’altro che banale: trovare la domanda giusta prima della risposta giusta. E infatti, il titolo dell’articolo recita: “Is a Glass of Wine Harmless? Wrong Question”. Period. Punto fermo.
Le parole in apertura sono proprio quelle di Oster. L’argomento, la nostra ossessione per il bilancino della giusta quantità, quella che non fa male (ma alla fine dei conti nemmeno meglio) e che ci stringe addosso la corazza coriacea dell’istinto di sopravvivenza. Siamo persone annoiate, spaventate dal profumo dell’errore, su questo non c’è dubbio. Prede di quel brutto vizio di chi è tirato su a spaghetti e senso di colpa. “Se oggi fumo mezza sigaretta e tra dieci anni mi viene un tumore, qual è la correlazione?” Oppure: “Questi venti grammi di pasta in più, mh, no, non dovrei cuocerli, sforano la porzione raccomandata”.
Intendiamoci: non ci sarebbe ragione a sostenere che un pacchetto di sigarette al giorno, 500g di pasta in una botta, una bottiglia di vino a testa (ma andiamolo a dire a Gérard Depardieu) non abbiano un impatto sul nostro benessere, a corto e lungo raggio. Ma l’autocensura dei comportamenti non è mai applicata sugli estremi. Si realizza, piuttosto, nei quotidiani dilemmi da nulla: posso uno Spritz all’aperitivo o meglio succo di pomodoro? Con quale dei miei comportamenti mi sto condannando a una morte precoce?
È in questa curiosità preoccupata e morbosa che si annida l’interesse collettivo per i titoli come “Anche una goccia d’alcol intacca la salute”, “Il bicchiere di vino al giorno? Una sana abitudine italiana”, “Parla l’esperto: il bicchiere di vino al giorno è una bufala”. Preoccupazione morbosa che portò anche chi scrive, durante la seconda adolescenza, a rifiutare di assumere più una goccia d’alcol, prima, e a eliminare quasi del tutto il grano dalla propria dieta, poi. Allenandomi in media cinque giorni a settimana avevo perso, c’è da dirlo, tra i cinque e i dieci chili, e raramente avevo contatti con la mia serotonina. Non è forse così che inizia ogni film drammatico americano, o capolavoro di letteratura post-moderna, dedicato alle famiglie infelici?
Per fortuna, il mio periodo durò poco, anche se, da donna noiosamente attratta dagli uomini e cresciuta con le principesse Disney, il Super Io malvagio è sempre dietro l’angolo. Nel tempo, il mio rapporto con il cibo si è appianato, e si è iscritto nel solco del piacere e non in quello del dovere. Il pezzo di Oster ha il merito di riassumere con senso e limpidezza questo dissidio, ancora attuale nonostante ondate di femminismo multiple (non credo sia un caso l’abbia scritto una donna). Lo fa, però, con un gancio che travalica i generi, gli interessi e le fedi politiche: il nostro rapporto scomposto con il vino. Santificato, demonizzato. Desiderato, condannato, tracannato, a seconda di a chi chiedi, e della parrocchia a cui appartieni.
Un fatto di scuola, le più volte. Anche perché al momento non ci sono, come sottolinea Oster, dati concreti a supporto di una “regola generale” per un consumo di alcol così che non risulti dannoso per la salute. Da minuscole evidenze pare che il celebrato bicchiere di succo di Bacco al giorno potrebbe favorire la sana e robusta costituzione, ma aumentando la quantità la benedizione si tramuterebbe in aumentato rischio di cancro. Pesano, inoltre, i comportamenti dell’individuo. E, di nuovo, nessuno suggerirebbe mai di ubriacarsi ogni sera.
Per una morale del piacere (e della moderazione)
Se bere alcol ti è indifferente, o se proprio non ti piace, allora ha senso attenersi allo standard dell’astinenza. Ma molte persone amano concedersi una bevuta di tanto in tanto: una birra con gli amici, un bicchiere di rosé ghiacciato in estate, un hot toddy davanti al caminetto, o anche solo un bicchiere di vino bianco mentre si prepara la cena alla fine di una lunga giornata. Se accettiamo il valore del piacere, e uniamo questa consapevolezza alla confusione dei dati scientifici in merito, il vincitore è lo standard della moderazione.
Le parole e le conclusioni di Oster sono un manifesto. Una richiesta in chiave minore, perché alle lotte per la libertà sessuale e di costume si aggiungano quelle per una morale dell’alimentazione libera, senza stigmi. Si badi, questo non va controcorrente rispetto alle preziose raccomandazioni di dietologi e nutrizionisti. La differenza è sottile, e risiede nello iato tra consapevolezza e prescrizione. Usiamo un esempio sempre enogastronomico:
La base di una pizza surgelata o servita in pizzeria pesa di solito sui 300 grammi. Stiamo parlando cioè di tre volte e passa la quantità di spaghetti o pane (80 grammi circa) raccomandata dalle Linee guida nutrizionali italiane per una dieta da duemila calorie, cioè adatta a una donna in salute che fa moderata attività fisica e a un uomo dalla vita sedentaria. La taglia «Large» delle cene fuori è una misura per adolescenti e sportivoni: una Margherita apporta circa 815 calorie, che salgono nella Diavola o nella Capricciosa. Soluzioni per chi volesse una «Small» sono fare a metà con un commensale, portarsi a casa un pezzo non consumato o chiedere una versione mignon dove fosse possibile, una pizza baby per adulti. Un’altra idea è godersi la «L» ma passeggiare dopo la pizzeria e ripromettersi di fare movimento l’indomani e di non esagerare a tavola.
L’estratto è da un pezzo di Eliana Liotta uscito il 18 giugno per il Corriere della Sera con la consulenza della nutrizionista Lucilla Titta, coordinatrice del programma Smartfood allo Ieo-Istituto europeo di oncologia. Il contenuto dell’estratto è inconfutabile, ma parte da un presupposto del tutto antitetico a quello di Oster e del suo “vino per il piacere”: in primis, il cibo è quantità e non piacere e/o qualità, se vuoi sgarrare sulle misure devi compensare (torna il discorso della colpa di cui sopra); e poi, stabilisce per “il piccolo” una connotazione morale positiva, negativa per “il grande”, passato in sordina come “esagerato”, “immoderato” (e Dante vedi quanti ne aveva messi all’Inferno, di incontinenti). Si prescrivono, in altre parole, regole da seguire per essere contati tra i ranghi dei virtuosi - sapete che nei film chi usa Apple è buono, chi usa altre marche cattivo? - e non giungere mai alla maggiore età della libera scelta. O la regola, o niente.
Strizzando il concetto: questo è l’eccesso (o questo, o questo); questa è una pizza.
Per tornare alle parole di Oster: più moderazione, e meno mancate Kate Moss pare la direzione, almeno da dietro gli occhiali di chi scrive. Se una pizza, o un bicchiere di vino, è troppo, chiedila piccola, chiedila mezza (ah, tra l’altro: stupendo che DaDa in Taverna, a Milano, abbia reintrodotto le gloriose mezze porzioni), portala a casa se non la finisci. Proprio come suggeriscono Liotta e Titta. Ma se le pizze piccole ti mettono di cattivo umore, e c’hai fame, e i piatti mezzi vuoti non li hai mai capiti; e lasciamolo correre, questo piacere. Camminata o non camminata “per smaltire”.
Pensavi fosse finita? Macché, ora parliamo di una pizza buona assaje
Milanesi, veronesi, aprite le orecchie: questa è per voi. E per tutti quelli che, per l’appunto, a volte pensano che mezza, forse uno spicchio di pizza possa bastare. Perché c’è una pizzeria, anzi, un format di pizzerie, che ha creato una nuova forma per l’aperitivo. Il calcolo è semplice: dalle 19:30 alle 20:30, 1 pizza margherita (da smezzarsi come buoni fratelli) + 2 cocktail o 2 calici di vino = 16 euro; 1 tagliere per due + 2 cocktail o 2 calici di vino = 20 euro.
Il nome è Ci Sta - Friendly Pizza, creatura di Nico Grammauta (manager e imprenditore già attivo nel settore del food retail) che, da due annetti, si è inserita con la giusta arroganza nel panorama del casual dining. Non solo per la volontà di proporre una formula di dining alternativo con il nuovo aperitivo, che non per nulla si chiama Aperitivo Onesto. A questa novità si aggiunge infatti la fondante attenzione per gli ingredienti, di rigorosa qualità e italiani di preferenza, per un viaggio del gusto lungo tutta la penisola. Salsiccia di suino a punta di coltello? La troverai. Non hai idea di che cosa siano le pacchetelle del Vesuvio gialle e rosse? È il momento di impararlo. Prosciutto di Cormons del Friuli Venezia-Giulia? Daje!
La terza, ma non ultima, motivazione alla base dell’arroganza (tutta in positivo) di Ci Sta risiede nella novità forse maggiore per il panorama soprattutto milanese. Non ci sono altri modi per dirlo: la pizza di Ci Sta è ciunta. Farcita con amore e senza lesinare. Morbida, sugosa al punto giusto. Il tutto con prezzi in linea se non inferiori alla media (margherita fiordilatte 8 euro, marinara con alici di Cetara 7 euro). Completano il menù una piccola selezione di primi, secondi, dessert e gli immancabili fritti e antipasti. È la pizza, però, che ti fa dire “ci torno”. E l’aver sconfitto qualsiasi tipo di fame una volta alzati da tavola.
Choose your pizza fighter allora, come dicono quelli che stanno davvero su TikTok. Gonza mezza alta tirata rossa doppia: basta che stiate bene, quella volta che ve la magnate.
In alto i calici, e le pizze 🍕🤏
PS Ci Sta oggi ha tre ristoranti: Giulio Cesare Procaccini 60 e Castelfidardo a Milano, Leoni 4 a Verona. Un quarto, si vocifera, in arrivo prossimamente. Sempre a Milano, zona Buenos Aires.
Un segnalazione prima di andare:
Se per le vacanze (o per i fatti vostri) siete o sarete a New York tra il 20 luglio e il 24 agosto, aprite gli occhi, prendete nota: è tornata la Restaurant Week, e questo vuol dire che potete pranzare o cenare a prezzi fissi mai visti, con menù da 2 o 3 portate, in 524 ristoranti della città. Dài che qualcosa che vi piace lo trovate.
Ci sentiamo presto.
Fino a quel momento, stay hungry, stay *golosini*.
Cia’.
*Se vuoi essere anche tu, per qualche ragione, un *golosino*, o hai altri *golosini* da consigliare per super chiacchiere, rispondi alla mail, scrivimi su Instagram, e dimmi tutto.
"Ciunta"... mi serve un dizionario, ma non ho idea di quale lingua XD